Malattie Reumatiche: Storie di Vita e Voci Potenti

Un ragazzo ed una ragazza, due vite, due storie, le malattie reumatiche: sono questi gli ingredienti di questo terzo articolo della serie 'Racconti Cronici'

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ANMAR Young

Vi presentiamo il terzo articolo della serie “Racconti Cronici” in collaborazione con ANMAR Young (Associazione Nazionale Malattie Reumatiche).

Raccontarsi ad altri non è facile, richiede un bel po’ di quella che molti chiamano 'introspezione'.

Bisogna entrare dentro di sé e fare il punto della situazione, in modo onesto e trasparente, perché se non siamo onesti con noi stessi potrebbe essere un gran bel problema.

Cosa ci sta succedendo? Come ci sentiamo? Perché ci sentiamo cosí?

Alcune domande magari non ce le siamo mai fatte, ma sono utili a farci capire chi siamo, cosa non va e cosa potremmo fare per migliorare la situazione.

Il racconto diventa quindi l’espressione di un vero e proprio viaggio che la persona fa dentro di sé, ed il lettore si trova cosí catapultato in un ‘tour’ a tappe, senza internet e senza mappe, l’unica cosa che deve fare è fidarsi e lasciarsi guidare.

Il tema di oggi sono le esperienze personali e le nostre guide in questo viaggio saranno Irene e Giovanni: ci racconteranno la loro storia e come hanno affrontato varie situazioni ed ostacoli legati alle malattie reumatiche.


Iniziamo!

Irene

Ciao a tutti! Mi presento.

Io sono Irene, 23 anni suonati, nella vita sono una studentessa universitaria (non è una scusa per non lavorare,eh! Io adoro studiare) e ho diversi hobby. Mi piace leggere, cucinare visto che non me la cavo poi cosi male, poltrire sul divano guardando serie tv come ogni buon universitario che si rispetti, stare a contatto con la natura.

Ma una cosa che adoro ancora di più è passare il tempo con la mia famiglia e i miei amici e amiche, che praticamente sono la mia seconda famiglia. Ohana, come direbbe Stitch.

Insomma, una persona come tutte le altre, nella media. Potrei stare qui ore a parlare. Credo si sia capito che sono molto chiacchierona.

Ora voi magari vi starete chiedendo cosa c’entrano tutte queste cose che ho detto di me.

Bella domanda.

Rispondo subito dicendo che quando mi presento, lo faccio parlandovi di me.

Non mi presento subito come una ragazza con patologia reumatica perché la cosa fondamentale è che io, come tanti altri ragazzi e ragazze come, non siamo la nostra malattia.

Siamo prima di tutto persone e ragazzi/e come gli altri.

La mia storia è una di quelle, delle tante che accomunano giovani nella mia stessa situazione che, ogni giorno, nonostante le difficoltà, conducono una vita “normale” come quella dei coetanei.

Nella normalità.

Che poi ditemi cos’è e se esiste davvero. Io non credo.

Avevo da poco iniziato l’università quando ho iniziato ad avere i primi sintomi che all’epoca (manco fosse passato un secolo, ma vabbè) reputavo strani: forti dolori articolari e muscolari, forti emicranie, rigidità muscolare tipo Pinocchio, stanchezza, sonno disturbato.

Dopo un lungo giro di visite ed accertamenti che vi risparmio perché diventerei noiosa e rischierei di farvi addormentare, mi imbatto dopo un paio di anni dal reumatologo. E arriva con lui anche la diagnosi.

Prima non sapevo nemmeno cosa fosse una malattia reumatica.

Fatto sta che a 22 anni mi dice che ho una malattia dalla quale non guarirò, ma che ci sono anche terapie farmacologiche e strategie per poterla affrontare.

“Che botta di cosiddetto” ho pensato (va bene non ho proprio pensato queste esatte parole ma ci siamo capiti, insomma!

Perché a vent’anni ti senti invincibile e hai il mondo nelle tue mani.

Non penseresti mai che alcune cose possano capitare proprio a te. Ma evidentemente è successo.

Sei tu che però puoi decidere di affrontarlo di petto oppure lasciarti andare.

Io ho scelto la prima.

Nonostante i primi tempi siano stati un pochino difficili, ho raggiunto la consapevolezza però che ricevere una diagnosi non era poi così terribile, specie quando si hanno persone al proprio fianco pronte ad aiutarti.

Già perché noi possiamo metterci tutte le capacità e le risorse di cui disponiamo, ma il supporto e il chiedere aiuto fanno la differenza fondamentale.

Si crea un’alleanza reciproca che permette a tutti di generare una forza assurda.

Sono sincera, ad oggi l’aspetto della cronicità mi spaventa ancora un po’, soprattutto se penso a come potrà essere il mio futuro, i miei progetti, le mie ambizioni e i miei sogni.

Ma so che anche se non sarà facile, non sarò da sola e questo mi dà il coraggio di andare avanti e di crederci fino in fondo.

Personalmente la malattia mi ha insegnato a rallentare perché siamo sempre troppo precipitosi e tendiamo a non accorgerci dell’importanza delle piccole cose e a prendere la vita col sorriso perché, in fin dei conti, se rimaniamo tristi o arrabbiati, le cose accadono comunque.

Tanto vale godersele e viverle a pieno.

Se posso dare un consiglio a tutti quanti noi, facciamocela un’uscita con i nostri amici!

Perché la risata e l’affetto sono le medicine che hanno l’effetto più grande!

Giovanni

Mi chiamo Giovanni e sono nato nel 1996.

Nel 2000 mi hanno diagnosticato l’artrite reumatoide idiopatica giovanile: tante parole per dire che qualcosa nel mio sistema non funzionava e per questo motivo le mie febbri non volevano andarsene via facilmente.

Ero troppo piccolo per ricordare, troppo piccolo per capire e agire.

Ho sempre convissuto con l’idea della malattia! Nella mia infanzia, oltre ad altri bei ricordi, echeggiano immagini dell’ospedale.

Ogni mese andavo in ospedale, ogni mese venivo accolto in reparto.

In quelle lunghe mattine d’attesa la mia mente cercava conforto nei giochi e nei fumetti presenti in sala d’aspetto.

Le ore passavano: prima dovevo aspettare per il prelievo, a digiuno, e dopo il prelievo passavano almeno due/tre ore prima della visita, perché dovevamo aspettare almeno i risultati delle analisi più decisive.

Finalmente quando potevano visitarmi sentivo vicina l’ora per tornare a casa. Per me ormai era diventato un appuntamento fisso, come andare in visita dal nonno la domenica mattina.

Quell’ospedale ormai era divenuto parte della mia vita, quel reparto parte della mia famiglia.

Devi avere molta fiducia nei medici e negli infermieri, specialmente quando vivi la malattia da piccolo: nulla ti sembra comprensibile! Per te diviene un puro rito, lo prendi come gioco e come momento per allontanarti da scuola.

Eppure, non è stata una passeggiata! Sono tante le difficoltà e tanti i momenti difficili.

Le prime volte che salti scuola ti sembra pure di avere fortuna rispetto agli altri… poi capisci che ti manca la scuola, che vorresti non avere certi problemi e che non vorresti che la gente pensasse a te come a un malato.

Ho dovuto anche fare le mie rinunce, come il nuoto, perché non riuscivo più a gestire la fatica e lo sforzo fisico.

La mia malattia non ha interessato particolarmente le articolazioni, perciò ho potuto continuare alcune attività, come suonare il pianoforte.

Sono stato colpito maggiormente a cuore e polmoni, dunque la mia malattia si è manifestata sempre in modo sistemico, perché interessava maggiormente gli organi interni e il corpo umano nella sua interezza.

Ecco spiegate le febbri e il malessere generale! Il dolore all’articolazione non è l’unico modo di esprimersi per la malattia reumatica.

Nella mia vita ho vissuto quattro/cinque ricoveri, dei cui primi ho poca memoria.

I ricoveri sono come una visita in ospedale, ma più lunghi, perché invece che durare un giorno, durano una settimana o più.

Penso siano quelli i momenti di maggiore difficoltà, perché oltre a stare male fisicamente trovi un distacco totale dalla tua vita e dalla tua quotidianità.

A volte ci si sente soli in queste occasioni, nonostante la famiglia e gli amici presenti.

Penso comunque non sia stato facile per i miei genitori prendere certe decisioni, soprattutto sulle terapie, con cui inconsciamente condividevo ansie e timori.

Secondo me chi affronta la malattia in età pediatrica segue più o meno lo stesso percorso: cresci con un’idea sconosciuta della malattia, sotto il totale controllo di persone più grandi di te, poi finalmente arriva un giorno in cui i ruoli si ribaltano e sei tu a prendere le decisioni.

Personalmente ho sentito un senso di rottura fra il passato, io bambino e malato, e il presente.

Ho trovato un’evoluzione nell’affrontare la malattia: dall’essere inerte, all’avere il pieno e totale controllo sulla mia salute.

Ora ho una maturità e una visione completamente differenti.

Devo ammettere che gli anni di malattia pregressi, nonostante le molteplici difficoltà che si sono presentate, hanno giocato molto a favore nel mio modo di affrontare la malattia stessa.

Ora quando sto male so gestire meglio la mia condizione, sia fisicamente, sia psicologicamente.

Io sono stato fortunato, perché ora frequento meno l’ospedale e non faccio più terapie. Ormai non sono più sotto cura e devo solo effettuare dei controlli regolari.

La verità è che nonostante la remissione sia possibile e raggiungibile, come fortunatamente successo a me, non bisogna sottovalutarla!

La malattia è pur sempre considerata cronica.

Ho notato che una delle difficoltà personali con alcuni soggetti, nel mondo sanitario ma non solo, è far valere la propria cronicità, quando questa risulta meno visibile.

L’anno scorso ho affrontato diversi mesi di malessere, essenzialmente per febbre persistente, ed è stato difficile farsi valere davanti agli altri e a dimostrare che le mie lamentele non erano dettate da semplici capricci.

Nonostante una malattia cronica rimanga silente per molto tempo, non è possibile prevedere quando mai ci possa essere una sua ricaduta.

Oltretutto ho capito che la vita del malato risulta complicata dalla burocrazia, oltre che dalle liste d’attesa ingiustificate, come se i mali non fossero abbastanza come peso da sorreggere.

Anche in questo trovo un distacco dal passato, perché da piccolo ti danno più attenzioni e nel minor tempo possibile.

Avvicinarmi al mondo del volontariato mi ha aiutato sotto questa prospettiva,

perché spesso ci si dimentica che i malati rimangono pur sempre persone prima di essere malati.

Questo non significa prendersi carico di tutto, anche dei problemi più insignificanti, ma significa semplicemente avere rispetto per il lato umano.


Ringraziamo Irene e Giovanni per questo articolo e speriamo vi sia piaciuto! Ricordatevi di mettere like e condividere sulla pagina Facebook lasciando un commento, siamo curiosi di sapere cosa ne pensate!


Per qualsiasi domanda o dubbio non esitate a contattare Caterina.


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