La Sindrome di Stoccolma, tra verità e finzione ne “La Casa di Carta”

Tanti sono i meccanismi psicologici che razionalmente fatichiamo ancora a comprendere: perché siamo così attratti e così spaventati dalla sindrome di Stoccolma?

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Federico

Il nostro cervello è un organo decisamente complesso, ma cosa succede quando qualcosa va storto? Sembrerebbe una macchina infallibile, ma spesso è lui stesso a cadere in errore e ad attuare, in determinate situazioni, comportamenti che sembrano assurdi visti dall’esterno. Scopriamo, in una breve serie di articoli riguardanti alcuni disturbi mentali più o meno noti, quali possono essere le conseguenze. Questo articolo parlerà di una patologia molto amata dalla cinematografia internazionale: la Sindrome di Stoccolma.


La patologia e l’intrattenimento

Ultimamente una serie su Netflix, la più famosa piattaforma di streaming online, ha fatto molto parlare di sé. Si tratta di una produzione originale spagnola dal titolo “La Casa de Papel”, in italiano reso con “ La Casa di Carta”. Mettendo da parte le opinioni personali sulla serie, ciò che ci interessa è che, per l’ennesima volta, la sindrome di Stoccolma trova spazio sul grande e piccolo schermo.

Si potrebbero citare innumerevoli opere cinematografiche, la ritroviamo infatti in serie tv come Dr. House e Law & Order, in film come Agente 007 – Il mondo non basta e John Q, viene citata nei Simpson, in X-Files, Dexter, Six Feet Under, Die Hard e la lista va avanti ancora a lungo.

Nel nostro caso, parliamo di una rapina con ostaggi alla zecca di Stato spagnola in cui un ostaggio si innamora follemente di un sequestratore e i due decidono di avere un futuro insieme dopo il colpo. Potrebbe sembrare un tipico espediente hollywoodiano, ma dietro c’è più verità di quanta si crede di solito.

La realtà è che questa sindrome si presta molto bene ad essere romanticizzata: come può una persona innamorarsi del proprio rapitore? Quali sono i meccanismi che si innescano nel nostro cervello per far si che si riesca non solo a perdonare, ma anche ad amare e a sentirsi dipendenti dalla persona che ti ha privato della libertà?

Le caratteristiche

La sindrome di Stoccolma è ritenuta un caso particolare della più ampia sfera dei legami traumatici, ovvero quei legami in cui la parte debole della relazione sviluppa una dipendenza verso la controparte forte, spesso abusante.

La patologia prende il nome dal primo episodio in cui si è manifestata, una rapina ad una banca della capitale svedese. I quattro ostaggi rimasero oltre 130 ore rinchiusi all’interno della banca con i due sequestratori, sviluppando, incredibilmente, un forte attaccamento verso questi ultimi.

Se il caso de “La Casa di Carta” può sembrare improbabile, il caso più famoso (e non meno sconcertante) di sindrome di Stoccolma si ebbe con Patty Hearst, da ricca ereditiera a guerrigliera per l’Esercito di Liberazione Simbionese.

Le cause

Le cause psicologiche che permettono lo sviluppo della sindrome sembrerebbero in primo luogo il livello di stress a cui sono sottoposti i soggetti sequestrati, la situazione di isolamento e il formarsi di un pensiero dicotomico che oppone “noi qui dentro” a “loro lì fuori”. Avviene dunque un’identificazione tra sequestrato e sequestratore, agevolata soprattutto da piccoli segni di umanità da parte degli aguzzini che vengono percepiti dalle vittime come favori a loro non dovuti.

Si crede che il formarsi di un rapporto di affetto con il rapitore, tutt’altro che razionale, sia in verità un primitivo meccanismo di difesa e di accettazione della nuova realtà in essere: “potrebbe uccidermi o torturarmi ma non lo fa, anzi mi tratta bene, e io in cambio dimostro gratitudine”. Questo ragionamento a livello inconscio va contestualizzato in riferimento alla situazione di stress e allo stato di confusione mentale che segue il sequestro.

Non si pensi, però, che il rapporto patologico formatosi sia sempre e solo unidirezionale. Dall’altra parte, infatti, anche i rapitori si ritrovano nella situazione di “ostaggi” nei confronti delle forze dell’ordine, artefici ma al contempo soggetti di una situazione tesa che potrebbe degenerare in qualsiasi momento. È quindi nel loro interesse che gli ostaggi collaborino, al fine anche di evitare l’utilizzo della violenza.

Nonostante la sindrome di Stoccolma non sia inserita in alcun sistema internazionale di classificazione psichiatrica, essa potrebbe risultare, in alcune delle sue declinazioni, più comune di quanto si pensi.

Non c’è infatti bisogno di parlare di rapine in banca o ereditiere guerrigliere per imbatterci nella patologia: gran parte dei rapporti affettivi che coinvolgono situazioni di abuso, spesso accettate dalla vittima, si possono configurare come una dipendenza emotiva riconducibile alla sindrome di Stoccolma.

Non c’è dunque da sorprendersi se, così come le vittime di un sequestro si ritrovano spesso a difendere a spada tratta i propri sequestratori, così anche le vittime di abusi, molti sono i casi che si sentono oggigiorno di violenze domestiche, spesso si ritrovano nella condizione di difendere i propri persecutori.

In conclusione

Da quanto emerge dalle storie e dalle testimonianze fornite da vittime ed esperti, la sindrome di Stoccolma rimane tanto chiacchierata quanto ancora misteriosa. Lo stesso Olsson, il quale è considerato “l’inventore” della patologia, ancora non si spiega cosa sia accaduto in quei sei giorni fatidici.

Probabilmente ne sentiremo ancora parlare sugli schermi, che sia davanti ad un film o ad un telegiornale. L’unica cosa che dobbiamo sempre tenere bene in mente è che, anche se le serie tv possono farla sembrare qualcosa di romantico, parliamo pur sempre di una patologia che lascia un segno permanente sulle vittime.

Nella realtà, nessuna sindrome di Stoccolma avrà mai un happy ending


Noi di MyTherapy speriamo che questo articolo vi possa essere stato utile. Si ricorda che questo è il secondo di una serie di articoli dedicati ai disturbi mentali meno conosciuti e meno discussi. Vi invitiamo dunque, in caso vi fosse interessato, a dare un’occhiata agli altri contenuti sullo stesso argomento e, in generale, a tutti quelli sul blog di MyTherapy. Inoltre, per qualsiasi dubbio o suggerimento non esitate a contattare Federico


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