Cari lettori,
l’articolo di oggi tratta uno dei tanti aspetti problematici correlati alla Sclerosi Multipla, quello psicologico. Un argomento delicato e complesso di cui non si parla abbastanza e quando se ne parla, lo si fa con mancanza di empatia e con un distacco emotivo, tipico di quando si descrivono quelle cose remote, lontane da noi come se mai ci interessassero davvero, nel profondo. Ed invece eccomi qui a parlarvi oggi dei tanti sintomi psichiatrici che purtroppo sono presenti nella maggior parte dei pazienti con sclerosi multipla e che contribuiscono in modo significativo a determinare un progressivo peggioramento della sintomatologia neurologica, aggravando la disabilità e rendendo ancora più complicate le nostre vite.
Una collaborazione di Stefania Unida
Secondo Feinstein i disturbi psicologici interferiscono in maniera significativa con il funzionamento familiare, sociale e lavorativo dei pazienti SM. La prima descrizione ad un coinvolgimento delle funzioni sottese alla convessità cerebrale si deve a Charcot che, nella sua lettura magistrale sulla Sclerosi Multipla, descrisse i pazienti affetti con disturbi cognitivi in particolare con deficit della memoria e con una ridotta capacità a formulare concetti e ad argomentare il loro punto di vista. Successivamente, Cottrell e Wilson nel 1926 descrissero, nei pazienti con sclerosi multipla, non solo i segni cardinali della malattia, paralisi, nistagmo, atassia, spasticità, alterazioni della sensibilità, ma anche alterazioni della sfera viscerale, affettiva ed emotiva e, fra questi ultimi, sottolinearono le variazioni del tono dell’umore (quelle che in inglese vengono chiamate “mood swings”), variazioni della percezione del proprio corpo e della capacità di autocontrollo o di espressione del loro stato emotivo.
Considerando l’importanza e la vastità di questa importante tematica, dedicherò quest’articolo a tre dei più noti disturbi psicologici correlati alla Sclerosi Multipla.
Disturbo depressivo maggiore (DDM)
Si riscontra, sovente, e ancora più sovente si sottovaluta, in particolare nei pazienti SM, la presenza di umore basso e altrettanta bassa autostima, accompagnata da una distorsione della percezione dell’immagine corporea. Quel racchiudere il dolore in un corpo provato dalla malattia, seppur combattivo; “tradito” non dall’età apparente ma da un sistema immunitario fallace, produce un profondo senso di sconfitta che si percepisce solo da chi è particolarmente attento. Un lutto, un matrimonio finito male, un lavoro non gratificante, gli amici «da tempo svaniti nel nulla», l’affetto mancante dei genitori o dei fratelli, l’incomprensione di chi ci sta più vicino; tutti elementi che producono o si aggiungono alla malattia. “… E poi la Sclerosi Multipla e con essa la solitudine”: tante volte ho letto questa frase nelle email inviatemi da tanti lettori.
Il Disturbo depressivo maggiore (DDM) è una delle condizioni più importanti che influenzano la qualità della vita nei pazienti con sclerosi multipla. Questo disturbo può determinare alterazioni delle funzioni cognitive, peraltro già compromesse nella sclerosi multipla; influenza negativamente le relazioni con gli altri e rappresenta un elemento di attenzione nella compliance verso i farmaci impiegati allo scopo di prevenire il peggioramento atteso della sclerosi multipla (i cosiddetti DMT – disease modifying therapies). Si è riscontrato che la depressione colpisce fino al 50% dei pazienti SM e dura più o meno tutta la vita. La prevalenza del DDM nei pazienti con sclerosi multipla tra i 18 e i 45 anni di età è del 25,7%, percentuale maggiore rispetto alla prevalenza nella stessa fascia di età della popolazione generale, che è del 3,2%. Inoltre, essendo spesso il DDM non riconosciuto e non trattato, può complicarsi con lo sviluppo di una tendenza al suicidio (idealizzazione) che interessa il 28,6% dei pazienti SM, con un 6,4% tra questi che ha di fatto compiuto gesti auto lesivi.
Il DDM ha un’incidenza maggiore nelle fasi di ricaduta della malattia, rispetto alle fasi di remissione, mentre non c’è alcuna relazione tra “impairment” fisico, durata della malattia, decorso della malattia e depressione. L’associazione tra recidiva del DDM e ricadute cliniche della sclerosi multipla risulta incerta. La presenza della depressione, oltre a ridurre l’aderenza alla terapia da parte del paziente, ne riduce anche le performance cognitive, e alcuni studi ne evidenziano un impatto negativo anche sulla tendenza all’affaticamento. Nella sclerosi multipla, dunque, si assiste ad una complessa interazione tra declino cognitivo, sintomi di affaticamento e stati depressivi ed à stato anche ipotizzato che alcune terapie (in particolare quelle a base di corticosteroidi e interferone) possano essere associate ad una maggiore probabilità di stati depressivi, ma tale visione è controversa o non unanimemente accettata.
I criteri diagnostici per la diagnosi di DDM prevedono che il paziente riconosca almeno 5 sintomi tra i 9 più comuni che caratterizzano tale disturbo e per un periodo di almeno due settimane. Essi sono:
- Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o come osservato da altri;
- Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno;
- Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno;
- Insonnia quasi ogni giorno;
- Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno;
- Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno;
- Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati, sensi di colpa, quasi ogni giorno;
- Diminuzione della capacità di concentrazione, attenzione e pensiero. Difficoltà nel prendere decisioni o iniziative in ambito familiare e/o lavorativo;
- Pensieri ricorrenti distruttivi di morte o di intenzione e/o progettualità suicidaria.
Nella sclerosi multipla, però, i criteri diagnostici pongono per ovvie ragioni alcuni problemi in quanto alcuni sintomi, come l’astenia, l’affaticabilità, i problemi di concentrazione e di memoria o la perdita di peso, possono essere una conseguenza diretta della sclerosi multipla e non di un disturbo dell’umore. Le manifestazioni cliniche del DDM nella sclerosi multipla sono però divere, peculiari ed uniche nel loro genere; l’umore depresso, infatti, si esprime “fenomenologicamente” con ansia, disforia, irritabilità, rabbia e disturbi somatici che si manifestano in modalità e tempistiche differenti nell’arco del tempo e anche della stessa giornata. Il tutto mentre l’aspetto apatico e l’ideazione del senso di colpa appare invece meno frequente. Pertanto, per ovviare alle difficoltà diagnostiche del DDM nei pazienti con sclerosi multipla, si è ritenuto opportuno non considerare i sintomi neurovegetativi tra i criteri utili per fare la diagnosi di tale disturbo psicologico. Ciò, come potete immaginare, rende la diagnosi difficile, ma chiaramente non impossibile.
In aggiunta, i processi infiammatori propri della sclerosi multipla possono agire sullo sviluppo della sintomatologia depressiva. In particolare, il rilascio di citochine come l’interferone gamma, il TNF-alpha o l’interleuchina 6, le quali possono produrre dei sintomi tipici della depressione, (“sickness behaviour”) come l’iporessia, l’anedonia, l’astenia, i disturbi del sonno, la perdita di peso.
Disturbo Bipolare (DB)
Sebbene il disturbo psichiatrico più frequente nei pazienti con sclerosi multipla sia la depressione, tuttavia la prevalenza del disturbo bipolare (DB) nella sclerosi multipla sembra essere due volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Descrivere il disturbo bipolare è piuttosto complesso in quanto nel DB possono alternarsi fasi depressive, fasi maniacali (DB I) o ipomaniacali (DB II) e fasi miste (DB I). La caratteristica più rappresentativa del DB è dunque la mania e la psicopatologia della mania dei pazienti con sclerosi multipla non ha caratteristiche particolari e differenti rispetto alla mania dei soggetti con DB non affetti da sclerosi multipla.
L’associazione tra SM e disturbi bipolari è stata descritta più volte: le manifestazioni psichiatriche possono presentarsi in tempi variabili nel decorso della SM, potendo a volte anche precederne l’esordio o essere addirittura l’unico segno di attività della malattia. Sono stati effettuati vari studi su ampie casistiche, nel tentativo di identificare un’eventuale maggiore incidenza di disturbi bipolari nei pazienti SM rispetto alla popolazione generale. Hutchinson et al. (1993) hanno osservato su un campione di 550 pazienti affetti da SM, di cui 7 con storia di disturbi bipolari prima dell’insorgenza della SM. Schiffer et al. (1988) hanno ricercato i casi di associazione tra le due patologie nella popolazione americana, identificando 10 pazienti in cui le manifestazioni psichiatriche seguivano di almeno un anno l’esordio della SM. Un’ulteriore osservazione a favore di una maggiore associazione tra SM e disturbi bipolari è stata riportata da Pine et al. (1995), che hanno identificato tra 2720 pazienti ricoverati presso unità psichiatriche, 10 pazienti con SM, che presentavano maggiore probabilità di avere manifestazioni maniacali o ipomaniacali; va detto che 7 di questi 10 pazienti erano stati ricoverati presso cliniche psichiatriche prima della diagnosi di SM.
Alcuni autori, sulla base di alcuni casi aneddotici, hanno evidenziato che, in alcuni casi, la mania potrebbe rappresentare il quadro clinico di esordio della sclerosi multipla, oppure far parte del quadro clinico della sclerosi multipla. Al riguardo, un recente lavoro che ha analizzato un’ampia coorte di pazienti con sclerosi multipla, ha dimostrato che solo il 2,3% dei pazienti con sclerosi multipla ha esordio psichiatrico.
Altri autori, tra cui Feinstein et al., hanno messo in correlazione le oscillazioni dell’umore con le lesioni demielinizzanti localizzate a livello della corteccia prefrontale (dorsolaterale e orbitofrontale) e del circuito mediale frontostriatale. Anche in questo disturbo l’utilizzo dei corticosteroidi, in fase acuta, è stato associato ad un rischio aumentato di sviluppare disturbi dell’umore unipolari e bipolari. Il Disturbo Bipolare può essere diagnosticato in presenza della storia di uno o più episodi maniacali, ma fra i criteri della diagnosi dovrebbe esserci l’esclusione che tali episodi possano essere spiegabili con malattie organiche o con azione di farmaci e ancor di più droghe.
In breve, in alcuni casi il Disturbo Bipolare può coesistere con una malattia organica come la sclerosi multipla, che peggiora il decorso del Disturbo Bipolare, ma se tutta la sintomatologia del Disturbo Bipolare è spiegabile come i sintomi psichici della SM, allora non è un Disturbo Bipolare, ma un più comune disturbo di umore secondario (o correlato) alla SM.
Dunque, una volta verificata la diagnosi di DB è necessario valutare se gli episodi maniacali sono stati correlati, ad esempio, alla terapia cortisonica e/o ai sintomi, seppur lievi, della SM. Analizzare la relazione fra la SM ed il disturbo bipolare appare dunque piuttosto complesso.
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Depersonalizzazione (DD)
L’ultimo disturbo che voglio trattare in questo articolo è la cosiddetta depersonalizzazione, un disturbo singolare e forse il meno noto tra quelli citati fino ad ora. Tuttavia, tale disturbo è comunemente riportato nei pazienti con sclerosi multipla e in sintesi descrive una sensazione di distacco dal proprio corpo ed in particolare dai sentimenti. Spiegare in parole semplici la depersonalizzazione non è facile ed è altresì semplice che questo sintomo venga confuso con altri disturbi psicologici che vengono considerati impropriamente simili o addirittura uguali.
Dispercezioni corporee da un lato all’altro del corpo, disperazioni visive, vista annebbiata, come se ci fosse una lente sporca davanti agli occhi, orecchie ovattate, difficoltà a percepire le distanze degli oggetti, difficoltà a percepire la posizione del proprio corpo nello spazio, percezione di camminare sulle nuvole. “Affascinante” e spiazzante, la depersonalizzazione è una situazione caratterizzata da una profonda alterazione della normale autocoscienza, come se l’attività mentale, il corpo e l’ambiente circostante cambiassero improvvisamente nelle loro caratteristiche, diventando irreali, remoti e automatizzati.
L’esperienza è talmente strana che, quando ci si rende conto di “provare” un simile stato, nella totale mancanza di riuscire a definirlo, per spiegarla, chi ne è colpito deve usare delle metafore. Il paziente può raccontare di sentirsi “in una bolla”, o di essere separato dal mondo da una barriera invisibile come un vetro o un velo. Altre volte si usa la metafora del sogno o del film. L’individuo, infatti, può sentirsi come se agisse all’interno di un film o può vivere le giornate in modo automatico, e dunque senza realmente “vivere” la vita.
E’ purtroppo ampiamente presunto che la depersonalizzazione sia semplicemente una condizione emotiva, ma in realtà può essere un segno grave di altre condizioni psichiatriche o mediche. La depersonalizzazione è infatti il terzo sintomo psichiatrico più diffuso nella popolazione generale, insieme a depressione ed ansia. Essa può verificarsi nelle persone che hanno avuto un forte trauma psicologico, come ad esempio una violenza sessuale o il dolore di un lutto. La depersonalizzazione può anche essere un sintomo fisico delle lesioni demielinizzanti della Sclerosi Multipla.
Nella letteratura psichiatrica si indicano almeno quattro componenti tipiche di questo disturbo: il sentirsi “tagliato fuori” dall’ambiente circostante (derealizzazione), la difficoltà a ricordare e immaginare (si hanno dei veri e propri buchi nella memoria), l’incapacità di provare emozioni, e la già citata sensazione di uscire dal corpo.
La depersonalizzazione è tuttavia diversa dagli stati psicotici, perché chi ne soffre è consapevole che gli sta succedendo qualcosa di anomalo. Secondo il dottor Giovanni Liotti, della Scuola di Psicoterapia cognitiva di Roma, esperto di depersonalizzazione e disturbi dissociativi, nonché autore di un articolo in proposito recentemente pubblicato sul Journal of Trauma & Dissociation, “è clinicamente utile distinguere tra loro da un lato la derealizzazione, e dall’altro due aspetti della depersonalizzazione: la depersonalizzazione psichica che è il sentire il proprio stato mentale come estraneo, e la depersonalizzazione somatica che è l’avvertire il proprio corpo, o parti di esso, come deformato e irreale. Infatti, alcuni pazienti riferiscono solo sintomi di derealizzazione, altri solo di depersonalizzazione psichica, e altri ancora di depersonalizzazione somatica, mentre è più raro che un paziente riferisca tutti e tre i tipi di sintomi.”
Sierra e Berrios nel 1998 hanno proposto che la depersonalizzazione si verifica a causa di disconnessioni nel cervello tra le diverse componenti reciproche. Ciò si traduce in aree del cervello che non funzionano in sincronia con le altre, determinando una iperattività delle aree costrette a dover “lavorare” di più per la trasmissione degli impulsi cerebrali. Sarebbe proprio questa iperattività della corteccia prefrontale (responsabile del trattamento cognitivo) che secondo alcuni ricercatori causerebbe i sintomi tipici della depersonalizzazione. Le lesioni del cervello determinate dalla Sclerosi Multipla, e da altre specifiche condizioni come ad esempio la malattia del motoneurone e l’ictus, possono facilmente causare danni a questa particolare area del cervello. Ciò significa che la depersonalizzazione può anche essere causata da danni fisici in determinate aree del cervello e che può essere un sintomo diretto ma ancora poco conosciuto della SM in alcune persone, piuttosto che un semplice fattore di co-morbidità.
Un altro modello neurobiologico relativo alla depersonalizzazione coinvolge le connettività corticocorticali. Una droga in particolare, ovvero la ketamina è notoriamente un farmaco dissociativo, il che significa che chi la assume si sente spersonalizzato, come se uscisse dal proprio corpo. La ketamina blocca i neurotrasmettitori eccitatori nei percorsi corticocorticali, e come risultato, provoca che la persona inizi a sperimentare episodi di estrema depersonalizzazione. Quando viene utilizzata eccessivamente, la ketamina può causare danni permanenti a questi percorsi, innescando una depersonalizzazione cronica. Ho ritenuto necessario citare l’uso di questa droga perché attraverso questo esempio, appare più evidente il forte fattore neurobiologico nella causa di questo disturbo.
Per questo motivo, Ströhle et al. hanno scoperto che gli antidepressivi possono essere efficaci nel limitare i sintomi della depersonalizzazione nei pazienti con sclerosi multipla, anche se i sintomi si possono ridurre una volta che la sclerosi multipla è diagnosticata e si inizia una specifica terapia DMT.
Conclusione
È stato molto difficile per me affrontare questi argomenti cercando di fare ordine tra idee, pensieri, emozioni e letteratura scientifica. Spero che quest’articolo sia stato esaustivo e di vostro interesse. Nonostante il forte scoraggiamento ed il costante pensiero rivolto al disagio, noi malati di Sclerosi Multipla ci impegniamo sempre ad affrontare, quando occorrono, i nostri pensieri distruttivi o negativi. C’è e ci sarà una parte di noi che dice “non è finita” ed è proprio quella parte che ci permette di sollevare sempre in un modo o nell’altro il capo.
Se dopo questa lettura vi sembrerà di riconoscervi nei vari sintomi descritti, vi suggerisco di non tralasciare il problema, ma di parlarne con il vostro medico. Apritevi con onestà e mostrate i vostri sentimenti, esprimeteli
Un ringraziamento a Stefania per aver condiviso con noi quest’articolo.