La Sindrome di Stendhal, il Disturbo Psicosomatico dell´Artista

L’arte non ha mai fatto male a nessuno, giusto? Scopriamo insieme come questo potrebbe non essere del tutto vero.

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Federico

Il nostro cervello è un organo decisamente complesso, ma cosa succede quando qualcosa va storto? È possibile essere colpiti dalla bellezza a tal punto da svenire, essere affetti da crisi di panico, attacchi di vomito o addirittura scoppiare in lacrime? Secondo alcuni studiosi sì: parliamo oggi della sindrome di Stendhal, una curiosa affezione psicosomatica che vale la pena conoscere.


Una sindrome "per soli intenditori"

"Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.”

Queste sono le parole che utilizza Marie-Henry Beyle, meglio conosciuto come Stendhal, per descrivere le sensazioni provate a Firenze in seguito alla contemplazione di Santa Croce, la basilica contenente le spoglie di alcune tra le più grandi personalità italiane, nominata da Foscolo ”il tempio delle itale glorie”.

Si può pensare che il povero Stendhal abbia un po' esagerato la sua descrizione per amor dell’arte, potremmo dire. Tuttavia, è proprio grazie a questa sua frase che la sindrome di Stendhal riporta, appunto, il suo nome. Lo scrittore francese probabilmente non fu il primo, ma sicuramente non fu neanche l’ultimo a riportare questi strani sintomi durante la visita a Firenze.

La sindrome di Stendhal, anche detta sindrome di Firenze poiché essa è la città dove si sono verificati il maggior numero di casi, è un’affezione psicosomatica associata alla contemplazione estatica di opere d’arte. Detta così, potrebbe sembrare semplicemente il risultato di un eccessivo piacere provocato dall’arte, una malattia per soli intenditori. La realtà, però, è ovviamente ben più complessa.

Le caratteristiche

Partiamo dal presupposto che parlare di sindrome di Stendhal non significa propriamente parlare di un disturbo psichiatrico. Il campo di studio in cui questa sindrome ricade è la psicosomatica, branca della medicina che si occupa di studiare il collegamento tra disturbi somatici e fattori psicologici.

La prima analisi approfondita che si ha di questo disturbo si deve a Graziella Magherini, la quale nel 1977 descrisse alcuni curiosi casi di turisti a Firenze che presentavano gli stessi sintomi. Questi sintomi, in generale di breve durata, colpivano in particolare uomini stranieri tra i 25 e i 40 anni, i quali viaggiavano da soli e dimostravano un forte interesse per l’aspetto artistico del loro itinerario.

Dal punto di vista sintomatico, i turisti affetti da questa sindrome presentavano perlopiù un malessere diffuso unitamente ad una sensazione di disagio, per arrivare a crisi di pianto o di vomito, tachicardia, estrema euforia o inspiegabile depressione. Nei casi più gravi si parla di allucinazioni, depersonalizzazione, attacchi di panico e svenimenti.

Ma possono questi sintomi, in alcuni casi anche gravi, essere dovuti unicamente alla bellezza dell’opera d’arte osservata?

Non tutti sono d’accordo. Sicuramente la sensibilità e il vissuto di ogni individuo sono fattori considerati importanti per l’insorgenza dei sintomi, ma molti mettono in dubbio che siano gli unici due coinvolti. Il jet-lag, la stanchezza e l’affollamento dei musei potrebbero essere gli elementi scatenanti.

L’aspetto artistico-psicologico resta comunque il più interessante da indagare, questo perché, nonostante possa non essere l’unico coinvolto, assume sicuramente la funzione di “trigger” o attivatore.

L’interpretazione della Magherini, essendo lei una psichiatra, riprende alcune teorie psicanalitiche tra cui quella freudiana. La studiosa afferma che sarebbero proprio le opere d’arte a risvegliare nei soggetti un elemento inconscio rimosso, il quale può essere un’esperienza piacevole o traumatica (da qui deriverebbero le differenti reazioni e i differenti sintomi). In questo articolo la stessa psichiatra espone le sue considerazioni sulla sindrome.

L’altra interpretazione, la quale può essere considerata alternativa o complementare, riguarda il ruolo che i neuroni specchio ricoprono nell’immedesimazione nelle opere d’arte.

Questi neuroni si attivano sia quando un’azione viene compiuta dall’individuo sia quando l’individuo osserva un’altra persona compierla. Considerati fondamentali nel processo evolutivo dell’essere umano, sarebbero anche i responsabili degli scompensi psicologici derivanti dalla sindrome di Stendhal.

Gli individui che hanno sperimentato i sintomi caratteristici sarebbero infatti predisposti a livello cerebrale ad un’eccessiva immedesimazione nell’opera, la quale spesso esprime uno stato d’animo “disturbante”.

In conclusione

Possiamo adesso affermare che sia effettivamente possibile rimanere estasiati a tal punto da un’opera d’arte da avere ripercussioni fisiche e psicologiche. Questa affermazione va però contestualizzata nel quadro generale fornito in precedenza. Se questo può rassicurare, l’arte non ha mai ucciso nessuno, almeno non in questo modo.

Più che di grave condizione patologica si parla di un aspetto curioso della nostra mente che può, al più, regalarti un brutto quarto d’ora. Vi sono stati episodi di sintomi prolungati nel tempo, ma essi sono di solito collegati con altre patologie o con uno stato di predisposizione preesistente particolarmente sfavorevole.

La prossima volta che visiterete Firenze, però, non abbiate paura. Gli italiani sembrerebbero, fino a prova contraria, immuni a questo fenomeno. C’è chi dice che sia per l’abitudine di avere a che fare con l’arte, ma non vi sono evidenze scientifiche a conferma di ciò.

Si può dire che sì, forse non è il motivo per cui gli italiani non soffrono della sindrome di Stendhal, ma potrebbe essere il motivo per cui in molte città italiane non si riescano a compiere lavori di ristrutturazione o scavi di linee della metropolitana in tempi ragionevoli.

Troppe rovine greco-romane in mezzo ai piedi.


Noi di MyTherapy speriamo che questo articolo vi possa essere stato utile. Si ricorda che questo è il terzo di una serie di articoli dedicati ai disturbi mentali meno conosciuti e meno discussi. Vi invitiamo dunque, in caso vi fosse interessato, a dare un’occhiata agli altri contenuti sullo stesso argomento e, in generale, a tutti quelli sul blog di MyTherapy


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